mercoledì 30 marzo 2016

Persuasione: Utilizzare il principio di Impegno e Coerenza



Dopo aver spiegato cosa sono questi due principi e come agiscono in Il Principio della Reciprocità, possiamo ora capire come utilizzare queste potenti armi a nostra disposizione.

La teoria dell'Attribuzione Casuale, ci spiega come noi siamo interessati soprattutto a capire se una persona abbia e mantenga caratteristiche stabili, cioè se il suo comportamento è dovuto a elementi costanti della personalità. Questo ci aiuta così a prevederne il comportamento del futuro.

Per fare un esempio pratico lo stesso meccanismo funziona anche quando pensiamo alla nostra vita e a ciò che dobbiamo fare, per esempio,  fra un anno o due anni. Incredibilmente pensiamo che tutto si ripeta in un continum senza mai cambiare.

Non prendiamo mai in considerazione imprevisti, a dir la verità il nostro cervello non li menziona proprio, così da spingerci a a formulare ipotesi più facilmente. Nella realtà invece questo non succede mai, i nostri giorni sono proprio scanditi da cose che non avevamo previsto.

Quindi la coerenza è un tratto positivo, denota solidità, è alla base della logica, della razionalità, ma come tutte le altre forme di risposta automatica, è una scorciatoia che ci permette di semplificare la grande mole di stimoli che arrivano al nostro cervello. 
Una volta che abbiamo preso una decisione non dobbiamo ogni volta ripetere il processo, ma siamo capaci di individuare subito il nocciolo della questione. Siamo d'accordo o no?

Come si fa a reclutare la forza della coerenza? Che cos'è che fa scattare in noi quell'automatismo?
Secondo la psicologia sociale la risposta è chiara: l'impegno

Anche se facciamo qualcosa di apparentemente innocuo, di semplice, questo ci porterà ad accettare pian piano richiesto più grosse.

Facciamo un esempio con la nota ricerca fatta da Edgar Shein:
Dopo la guerra di Corea i prigionieri americani, che erano stati nei carceri coreani, rientrarono in patria e furono sottoposti a lunghi esami da parte di psicologi, soprattutto per capire lo straordinario successo del loro programma di indottrinamento.
Infatti, sebbene i soldati americani erano addestrati a dichiarare solo nome, grado e numero di matricola, anche sotto tortura, la quasi totalità ha collaborato con il nemico. Come è possibile?
Ma una volta fatto il primo piccolo passo, i soldati si trovavano venivano spinti poco più in la.
Per esempio gli si chiedeva di fare alcuni esempi concreti di cose che avrebbero migliorato, fornendo spiegazioni. Tutto questo doveva essere scritto su un foglio e firmato. In seguito si chiedeva di leggere questo elenco in un gruppo di prigionieri a cui era stato fatto fare un compito simile.
Fin qui nulla di male, in fondo erano le loro idee, nessuno gli aveva puntato una pistola alla testa.
Il tutto veniva registrato e poi mandato per radio nell'intero campo di prigionia, così il nostro prigioniero si trovava ad essere un collaboratore. Consapevole di aver scritto il testo senza minacce, finiva per modificare la propria immagine di sé per renderla coerente con il gesto compiuto (un esempio di Dissonanza Congnitiva). Una volta che veniva etichettato come collaboratore e respinto dai suoi simili, maturava sensi di rabbia, paura e solitudine e collaborava ancora di più. 
Inoltre senza ricorrere a violenze fisiche, gli americano collaborarono spontaneamente, spesso senza opporre resistenza. Il metodo era chiedere poco all'inizio e poi procedere per gradi. Per esempio, chiedevo prigionieri di fare dichiarazioni anti americane o filo comuniste molto banali, in fondo, dicevano, nessun paese è perfetto, ci sarà qualche aspetto che miglioreresti? Ovviamente questo tipo di richieste erano poca cosa, soprattutto se sei detenuto come prigioniero di guerra in un campo di concentramento.

Ma non tutti gli impegni hanno questo effetto. Ci sono alcune condizioni necessarie per ottenerlo.
Quali sono?

Quanto maggiore è lo sforzo richiesto da un impegno, tanto maggiore sarà la sua influenza sugli atteggiamenti. Per esempio molti riti iniziazione delle tribù o delle confraternite studentesche sono molto duri proprio per questo. Dopo aver sofferto molto o sopportato fatiche per raggiungere qualcosa, dopo si ha una più alta considerazione. 
Chi ha fatto il militare lo sa bene. Ad anni di distanza tutti ricordano il periodo militare come qualcosa che li ha formati, un periodo in fondo bello, in cui si sono fatte amicizie che durano ancora adesso. Lo dicevo anche io, ma non è vero. La verità è che dopo aver perso un anno a marciare, cantare e fare guardie davanti ad un prato vuoto, l'unico modo per dare un senso a tutto questo è cambiare il nostro atteggiamento verso il periodo vissuto.

Già Durkheim diceva che i tormenti, le fatiche e le mutilazioni dei riti di iniziazione hanno senso, sono razionali, non sono riti sadici, sono atti per la sopravvivenza del gruppo, che servono paradossalmente a stimolare nei futuri membri una più alta considerazione della società di cui entreranno a far parte. Cosi il gruppo crea lealtà e lega gli individui l'uno con l'altro, aumentando le sue stesse probabilità di sopravvivenza. 

Cosi si spiegano le esercitazioni militari senza fine sotto il sole cocente, abusi mentali e fisici dei datori di lavoro, delle confraternite studentesche o delle sette, sadismo dei partner, eccetera, che comunque non bastano a far cambiare idea a chi li ha provati, e li considera periodi della vita da cui è uscito più temprato, più elastico e più coraggioso, consapevole delle proprie possibilità.


Se fosse la fatica e la sgradevolezza delle prove quello cui tengono queste associazioni, sarebbe più ovvio cercarle in certi servizi di volontariato presso ospedali, centri di salute mentale, eccetera.
Inoltre imprese del genere servirebbero migliorare la loro immagine presso l'opinione pubblica. Sembrerebbero tutte ragioni valide per inserirle nei riti.

Anche se guardiamo ai prigionieri americani in Corea. i premi in palio per le collaborazioni erano piccoli: qualche sigaretta o poca frutta fresca in più. Ovviamente in quel contesto erano apprezzabili, ma il punto è che sceglievano deliberatamente di utilizzare le ricompense più piccole anziché quelle più motivanti.

Per quanto diverse siano le due situazioni, la ragione la stessa: "si vuole che si senta che ciò che ha fatto gli appartiene, senza possibili scuse o vie di un'uscita".
Il ragazzo che entra in una confraternita non deve credere che l'ha fatto per scopi umanitari, per scopi utili, come il prigioniero non doveva scaricarsi la coscienza attribuendo le sue dichiarazioni alla prospettiva di una grossa ricompensa.

Per ottenere un impegno duraturo e non un'adesione momentanea, non si deve estorcere qualcosa, bisogna che l'individuo si assuma la piena responsabilità interiore delle proprie azioni.

Quindi per cambiare l'atteggiamento verso qualcosa, si dove indurre il soggetto ad un comportamento nuovo, dandogli la minima ricompensa possibile.


Le scienze sociali ci insegnano che la responsabilità interiore di un comportamento viene accettata quando si pensa di averlo eseguito per libera scelta, in assenza di forti pressioni dall'esterno. Una grossa ricompensa ( lo stesso vale per una forte minaccia) costituisce una pressione del genere, che può indurre a compiere una certa azione, ma non farcene sentire pienamente responsabili.


Approfondisci l'argomento con I Principi della Persuasione: Impegno e Coerenza

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